Spesso e volentieri l’imprenditore, soprattutto il “neo imprenditore”, immagina l’andamento della propria impresa e predispone ipotesi più o meno accurate sull’andamento dei ricavi e dei costi dell’azienda che si appresta a costituire riportando il tutto nel business plan che poi presenterà ai terzi.
Il più delle volte, tuttavia, lo stesso imprenditore omette di indicare un valore fondamentale: la propria remunerazione.
La risposta che viene proposta alla domanda sul perché tale fattore non sia indicato è spesso legata al non voler gravare sull’impresa in una fase di start-up.
Questo atteggiamento, seppur comprensibile, presenta controindicazioni soprattutto quando ci si accinge a richiedere fondi a banche o investitori.
La prima domanda che sorge spontanea all’analista del business plan a quel punto diventa: ma se non vi è una remunerazione, come vive l’imprenditore? Da dove trae le risorse per la propria vita personale?
La seconda domanda che si pone l’analista è invece la seguente: se le risorse per il sostentamento deriveranno da altre fonti, quanto tempo avrà l’imprenditore da dedicare alla propria impresa?
Se l’impresa diventa secondo lavoro a quel punto la struttura aziendale, per essere appetibile (per la banca o per l’investitore) deve prescindere dall’imprenditore ed essere in grado di funzionare autonomamente indipendentemente dalla presenza e dal lavoro proprio dell’imprenditore, pur non potendo al contempo prescindere dalle capacità imprenditoriali dello stesso.
Il tempo dell’imprenditore è un fattore che va remunerato e considerato almeno sulla carta, perché su questo aspetto potrebbe giocarsi il successo o l’insuccesso di una richiesta di accesso a fonti di finanziamento di terzi.
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